Testo e foto di Paolo Barosso

Nel territorio comunale di Baldissero Canavese, lungo la strada che conduce ai borghi di Campo e Muriaglio, sorge la cappella campestre di Santa Maria di Vespiolla, immersa in uno scenario bucolico, tra campi coltivati e prati, non dissimile da come doveva apparire nei tempi antichi.

Veduta della facciata con il portichetto di recente aggiunta

Attestata già in un documento del 1122, che la annovera tra le pievanie della diocesi di Ivrea, al centro d’una vasta circoscrizione territoriale e religiosa, la chiesetta di Vespiolla, malgrado la sua posizione decentrata rispetto all’abitato, mantenne la funzione di pievania fino al tardo Trecento, per poi perdere gradualmente d’importanza dopo la costruzione della nuova parrocchiale ai piedi del castello di Baldissero.

L’arco santo e l’area absidale, parzialmente coperta dall’altare, con il ciclo di affreschi del XV secolo

Dell’originaria struttura romanica, sorta su un’area con tracce di popolamento d’epoca romana, come rivelato dal ritrovamento di alcune lastre sepolcrali, sopravvive solo l’abside rettangolare e l’arco santo, mentre la restante parte dell’edificio è frutto di interventi settecenteschi, effettuati per salvaguardare gli affreschi del Quattrocento, messi a repentaglio dal pesante degrado architettonico della chiesa.

La teoria dei Dodici Apostoli – dettaglio

Varcando l’ingresso si notano in primo luogo gli affreschi che ornano l’arco santo, riportati alla luce da recenti restauri: a sinistra una Madonna del Latte, al centro la scena dell’Annunciazione, con l’arcangelo Gabriele che regge un cartiglio con l’incipit dell’Ave Maria, e a destra un personaggio fino a poco tempo fa non identificato, vestito da soldato, con libro, spada e arme nobiliare, e, al posto della classica aureola, una cornice di raggi luminosi che gli avvolgono il capo (indizio rivelatore di una canonizzazione non ancora avvenuta al tempo dell’esecuzione dell’opera).

La Madonna del Latte, un po’ sbiadita, ma ben riconoscibile

Dopo attenti raffronti, lo storico dell’arte Claudio Bertolotto (Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte) ha ritenuto di riconoscere nella misteriosa figura, datata al tardo Quattrocento, il beato Bernardo di Baden, patrono della città di Moncalieri, il cui culto venne ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa solo nel 1769.

L’arcangelo Gabriele che regge il cartiglio con l’inizio dell’Ave Maria

Figlio del margravio del Baden-Baden, antico Stato germanico, Bernardo, avviato dal padre alla vita militare (sotto la guida di Francesco Sforza partecipò alla difesa di Milano dai Veneziani e nel 1477 s’impegnò nella campagna di liberazione dell’Alsazia dalle bande di predoni che la infestavano), preferì dedicarsi alla carriera diplomatica, in cui dimostrò notevole capacità, ponendosi al servizio dell’imperatore Federico III che ne apprezzava la qualità di mediatore.

Il beato Bernardo di Baden

Animato da profonda fede cristiana, Bernardo venne incaricato dall’imperatore di raccogliere fondi e cercare alleati per formare una lega di principi cristiani in funzione anti-ottomana all’indomani della caduta di Costantinopoli in mano islamica (1453). Di rientro da Genova, dove s’era recato per le difficili trattative volte a coinvolgere la flotta genovese e veneziana, si fermò, contagiato dalla peste, nella città piemontese di Moncalieri, dove morì nel 1458, non prima di aver alimentato attorno a sé l’affetto e la devozione degli abitanti, colpiti dalla saldezza della sua fede e da una guarigione miracolosa avvenuta nel giorno stesso del suo funerale.

Moncalieri, vetrata dipinta con il beato Bernardo di Baden nella Collegiata di Santa Maria della Scala

La crescente devozione popolare per Bernardo di Baden trovò riscontro nella prima relazione sui miracoli del nobile germanico, redatta nel 1478 per volere di Jolanda di Valois, vedova del duca Amedeo IX di Savoia, oltre due secoli prima della sua proclamazione a patrono unico della città di Moncalieri (1728) e dell’autorizzazione al culto locale da parte della Chiesa (1769). Bisognerà invece attendere il 2017 per il riconoscimento delle virtù eroiche di Bernardo.

San Bartolomeo e a destra San Giacomo Maggiore

Nell’area absidale troviamo la teoria dei Dodici Apostoli, raffigurati nel catino, sovrastati dai simboli degli Evangelisti, rappresentati sulla volta, con al centro la figura di Dio Padre, delimitata dalla classica mandorla.

I tratti stilistici degli affreschi presenti nell’abside, improntati a una certa ruvida essenzialità, eccezion fatta per la figura di San Pietro, dal sorriso bonario, e di San Giacomo Maggiore, che mostra un volto irsuto, da robusto lavoratore dei campi, ed è colto nel gesto scherzoso di sollevare il cappello con la mano, quasi volesse salutare l’osservatore, consentono di ricondurre il ciclo alla bottega di Giacomino d’Ivrea, artista documentato in area canavesana, in valle d’Aosta e in Savoia tra il 1426 e il 1469.

La figura di San Pietro, con il tratto popolaresco dei due dentini che spuntano

Estraneo alle raffinatezze del gotico internazionale, splendidamente interpretato in Piemonte da Jacopo Jaquerio e dalla sua scuola, Giacomino, indirizzandosi agli strati più popolari, utilizzava un linguaggio pittorico molto semplice, ingenuo, rapido, dai tratti a volte fiabeschi, poco amato dalla critica, ma assai ricercato dalla committenza di ambito rurale, che ne apprezzava il gusto per la narrazione, la facilità di comprensione per una fascia di pubblico meno colto e l’estrema vivacità cromatica, la sua caratteristica forse più interessante.

Veduta di parte del catino absidale con i Dodici Apostoli

Come annota lo studioso Carlo Naldi, nella sperimentazione dei colori Giacomino fu maestro, sia per esigenze pratiche di contenimento dei costi, sia per compensare la minore attenzione alle preziosità stilistiche proprie del gotico internazionale: analisi condotte su alcune delle sue opere hanno ad esempio rivelato l’uso della pregiata grafite per il nero, al posto del più comune e a buon mercato nero di carbone, o l’impiego del raro giallo egiziano, tendente al camoscio, documentato a Venezia, dov’era usato nell’industria vetraria.  

Le pitture realizzate sull’arco santo rivelano invece un’impronta diversa, più attenta ai dettagli, rivelante influssi di derivazione fiamminga, come emerge dalla delicatezza di tratti della figura della Vergine, nella scena dell’Annunciazione, inserita uno scenario architettonico in prospettiva.

Paolo Barosso

Fonti bibliografiche e siti internet:

C. Bertolotto, Pievi in Valchiusella: Cappella di Santa Maria di Vespiolla, in FAI. Guida ai beni aperti in Piemonte, 2009

C. Naldi, L’attività pittorica di Giacomino d’Ivrea in Canavese e Valle d’Aosta all’inizio del ‘400, 2015

A. Settia, L’alto medioevo, in Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al XV secolo, a cura di G. Cracco, Roma 1998

www.cittaecattedrali.it

www.percorsiartestoriafede.it