di Paolo Barosso
Lungo la strada carrozzabile che dall’abitato di Sparone, in valle Orco (chiamata anche, in questo tratto, valle di Locana), sale al comune di Alpette, situato a circa 950 metri di altitudine, si possono trovare una serie di cappelle, piloni votivi e antiche borgate, ormai quasi disabitate, immerse nella quiete dei fitti boschi di faggi, betulle e castagni che rivestono gli scoscesi fianchi delle montagne dell’alto Canavese.
Fra queste cime che furono mute testimoni delle imprese guerresche di re Arduino, marchese d’Ivrea, figura storica proiettata in una dimensione quasi leggendaria per la sua impari lotta contro la dinastia imperiale ottoniana, in particolare Enrico II di Baviera, è facile imbattersi in villaggi montani costituiti da aggregati di baite ormai in condizioni di semi-abbandono, ma ancora recuperabili, se ci fossero la volontà e le risorse per farlo.
Di particolare fascino è la borgata Onzino, oggi frazione di Sparone, di cui si nota subito, percorrendo la strada in direzione di Alpette, lo svettante campanile in pietra, appartenente alla chiesa dedicata a San Giovanni Battista e a San Firmino (273-303), che fu primo vescovo della città di Amiens in Piccardia (nord-est della Francia).
Addentrandosi per una breve passeggiata tra i vicoli della frazione, fondata nel tardo Medioevo, ci si accorge che le abitazioni poggiano su uno strato di rocce levigate e arrotondate dall’azione dei ghiacci del Quaternario, su cui si può vedere un interessante campionario di iscrizioni rupestri, riferibili a epoche molto lontane tra loro, le più antiche risalenti all’Età del Ferro e le più recenti agli ultimi secoli del periodo medievale (tra queste, vi sono coppelle, canaletti, segni cruciformi).
Degna di nota, tra gli edifici della borgata, è la cosiddetta “casaforte”, fabbricato di fondazione medievale disposto su tre piani, collegati da scale interne in legno, utilizzato nei secoli come deposito di prodotti agricoli e derrate alimentari, che qui potevano trovare migliore protezione contro l’imperversare di bande di malfattori e soldataglie (ricordiamo che, nel corso del Trecento, questo territorio venne interessato dalla “Guerra del Canavese”, narrata nelle cronache di Pietro Azario, che vide contrapporsi la fazione dei conti Valperga, di parte ghibellina, appoggiati dal marchese del Monferrato, a quella dei conti San Martino, di parte guelfa, legati invece al principe d’Acaia e al conte di Savoia. In tale contesto bellico, le contrade canavesane venivano attraversate dai mercenari delle compagnie di ventura, che si resero protagoniste, in più occasioni, di spoliazioni e saccheggi).
Esempi affini di “casaforte”, rispondenti a una tipologia fortificata diffusa in queste valli alto-canavesane, sono visibili in altre frazioni di Sparone, come in località Aia di Pietra e in borgata Apiatur, mentre una costruzione più articolata in senso difensivo è senza dubbio il castello di Pertica o Pertia, tra Sparone e Ribordone, che si trova descritto, forse in modo un po’ fantasioso, nella cronaca di Pietro Azario.
Coinvolto nelle tormentate vicende militari della trecentesca Guerra del Canavese, il castello, che aveva fama di inespugnabilità per la sua collocazione in cima a un’alta rupe, tra scoscendimenti difficilmente praticabili, fu occupato nel 1339 dai soldati al servizio dei conti Valperga, che lo strapparono ai San Martino grazie anche all’appoggio degli abitanti del luogo.
Poco prima di giungere alla borgata Onzino, segnaliamo la presenza di un pilone votivo di particolare bellezza, posizionato nei pressi del ponte in legno che attraversa il rio Mares. Il manufatto, testimonianza della devozione popolare cristiana, si trova collocato alla sommità di un grande masso erratico, posizione che non soltanto ne accentua la verticalità e la funzione di “ponte” di collegamento tra la dimensione terrena e quella divina, ma fa anche capire come, spesso, le costruzioni del culto cristiano venissero installate in punti precisi, già deputati nelle epoche precedenti, per specifiche caratteristiche, a pratiche di spiritualità pagana.
Il masso erratico o la grande roccia, peculiari per dimensioni, posizione o forma, dovevano essere infatti riguardati dall’uomo preistorico come canali di comunicazione con il mondo ultraterreno, divenendo oggetto di culti idolatrici (la saxorum veneratio), e sovente accadeva, con l’avvento della Fede cristiana, che vi si apponessero sopra segni o manufatti con lo scopo di affermare tangibilmente la vittoria della nuova religione sulle tenebre del paganesimo.
Il pilone, eretto nel 1881 come ex-voto per grazia ricevuta, presenta, all’interno della nicchia, la raffigurazione pittorica, eseguita da Antonio Frola da Montanaro, della Crocifissione con la Vergine Addolorata e San Giovanni Evangelista, oltre ad alcune figure di santi, San Giovanni Battista, San Defendente Martire, San Martino vescovo di Tours e un personaggio femminile identificato dall’iscrizione come Carolina martire, di difficile interpretazione storica.
Nelle vicinanze di questo pilone si diparte un sentiero che, addentrandosi nel fitto della foresta, conduce ad altre borgate del versante “invèrs” (cioè quello in ombra, al rovescio del sole) di Sparone, in particolare borgata Pasqualone, nel mezzo d’una radura ormai in parte riconquistata dal bosco, che conserva un prezioso pilone votivo dedicato all’Addolorata, interamente affrescato sia all’esterno che nella nicchia, quest’ultima protetta da un cancelletto in legno.
Il pilone è molto antico, datato 1535, coevo di altre due costruzioni sacre che, secondo la tradizione locale, non confermata però dai documenti, sarebbero stati eretti per iniziativa di tre sorelle, devote e riconoscenti per essere scampate alla pestilenza: la chiesa di Santa Liberata, San Pietro Apostolo e Maria Ausiliatrice in borgata Bisdonio, situata nel fondovalle, composta da una cappella cinquecentesca ingrandita nell’Ottocento con l’aggiunta di un ampio porticato addossato alla facciata, e la chiesa di Sant’Anna in località Aia di Pietra, ubicata su una grande roccia e separata dal campanile, dislocato su un rupe a poca distanza.
In borgata Pasqualone, così come in altre frazioni delle alte valli canavesane, si trova un esempio di “rascard”, costruzione in legno di larice, pino o abete, tipica della tradizione edilizia franco-provenzale (tra Savoia, Piemonte e Val d’Aosta), provvista in genere di copertura del tetto in pietra, che veniva utilizzata principalmente per la conservazione dei cereali.
Prima di giungere ad Alpette, terminando il nostro breve itinerario, ci fermiamo presso la borgata fantasma di Serai. Una targa in legno apposta a cura della Regione Piemonte ci informa che la frazione venne distrutta e poi abbandonata a seguito del terribile incendio divampato in questi boschi la notte del 17 febbraio 1962: miracolosamente, non si registrarono vittime, però le abitazioni non sfuggirono alla furia divoratrice delle fiamme e sopravvisse, unica testimonianza intatta della frazione, soltanto la cappella dedicata alla Beata Vergine, che oggi possiamo ammirare, circondata dal silenzio del bosco e ormai orfana delle preghiere degli abitanti, con la sua curiosa struttura disposta su due livelli.