Di: Giorgio Enrico Cavallo
Spesso, si sa, lo Stato mette mano nella vita privata dei cittadini: il controllo al quale, ad esempio, sono sottoposti portali come Facebook o Twitter è solo la punta dell’iceberg di un lavoro molto più complesso da parte dei servizi segreti. Ma non crediamo che questa situazione sia diversa da quella che potevano vivere i nostri avi due o trecento anni fa. Allora le mail non esistevano, e figuriamoci Facebook. Tutto veniva detto a voce o affidato alla discrezione di una lettera.
E, a proposito di lettere, non è infrequente che venissero aperte per controllare la corrispondenza dei cittadini, specie in periodi di congiure e cospirazioni, quali ad esempio gli anni immediatamente successivi al 1789. Il Piemonte sabaudo sperimentò una serie di congiure la più celebre delle quali prese il nome dal medico Ferdinando Barolo, mente di uno dei club giacobini che meditavano di assassinare il re Vittorio Amedeo III e di massacrare la corte. Si era nel 1794, e i congiurati vennero scoperti grazie al provvidenziale pentimento di un contadino, tal Battistino Fenolio, che era stato scelto per aiutare ad organizzare la missione e che invece rivelò il piano al rettore della basilica di Superga, suo confessore.
Si può ben capire che in un simile contesto la corrispondenza venisse controllata con attenzione. E possiamo solo immaginare la reazione dei solerti funzionari del re di Sardegna quando (siamo grossomodo intorno al 1790-1796), aperta una delle buste, scoprirono che conteneva misteriosi caratteri cifrati. Probabilmente, non c’era nemmeno la chiave; la ricavarono gli investigatori, annotandola a lato della missiva. Il bello è che il documento è ancora conservato in un fascicolo a parte dell’Archivio di Stato di Torino, sezione Corte, materie politiche per rapporto all’interno in genere, mazzo 5: possiamo dunque immaginare i funzionari sabaudi mentre, alla luce di una candela, provavano a combinare le parole nel tentativo di decifrare lo scritto enigmatico. Non erano dei novellini: basta aprire un qualunque mazzo di corrispondenze con gli ambasciatori presso le varie corti europee per scoprire che gran parte delle lettere erano cifrate, con una chiave che evidentemente conoscevano solo scrivente e destinatario.

Non sappiamo quanto ci volle per decifrare la lettera (un foglio appena, scritto fronte e retro). Ma, quando l’opera fu completata, ci fu una bella sorpresa: il documento così misterioso non era una lettera per i cospiratori, ma… una lettera d’amore. Sì: un innamorato che evidentemente non voleva compromettere la sua amata – ah! Pudore di altri tempi! – le aveva scritto una dichiarazione ricorrendo all’antico e sempre valido sistema dell’alfabeto inventato. Peccato che ad intercettare la sua lettera furono i servizi segreti e questa non venne mai più consegnata alla sua destinataria; tant’è che la possiamo leggere ancora oggi. Eccola qui:
«Allora crederò che voi veramente mi amiate di tutto cuore, e che non sarete menzognera temo o dubito che siate od ancora sarete giacché non me lo dimostrate. Il timore che ho sempre che voi vogliate finalmente scordarvi di uno che vi ha sempre amato con tanta costanza e fedeltà non mi lascia mai vivere in pace; mai godere di quella pace e tranquillità di cui tiene tanto bisogno il mio misero ed affaticatissimo cuore; il cielo solo può essere il giusto testimonio di tutta quella amarezza ed inquietezza la più barbara che prova questo misero ed affannato cuore: abbiate ormai compassione di uno che vi ama così svisceratamente: amatemi se volete farmi felice, ma desidero che mi amiate di cuore ma per sempre.
Casale Bacchio, vostro affezionatissimo amico».
Non sappiamo come andò a finire la storia. È un frammento di passato emerso dalla polvere degli archivi. Possiamo solo sperare il meglio per il nostro amico. E chissà che, visto il suo ingegno, non sia riuscito, con un’altra lettera, a far breccia nel cuore della sua dama.