Testo e foto di Paolo Barosso
Ai margini dell’abitato di Borgone di Susa, nel punto dove le abitazioni della borgata di San Valeriano lasciano spazio a prati e pascoli, sorgono due chiese d’epoca romanica dedicate alla memoria del martire di cui la frazione porta il nome, Valeriano.

Decapitato in odium fidei al principio del IV secolo per mano di un drappello di soldati romani, San Valeriano è ascritto per lunga tradizione alla celebre Legione Tebea, unità militare che, basandoci sulla testimonianza indiretta del vescovo Eucherio di Lione (IV/V secolo d.C.), autore della “Passio Acaunensium martyrum”, venne sterminata per volere di Massimiano tra il 286 e il 302 d.C. per il rifiuto del comandante, San Maurizio (“primicerium” nella Passio di Eucherio), e di tutti i suoi componenti, d’origine etnica egiziana (regione di Tebe, attuale Luxor, da cui Legione Tebea), di eseguire disposizioni in contrasto con la fede cristiana di appartenenza (forse l’ordine di combattere contro i Bagaudi, popolazione celtica stanziata nell’area alpina tra la Gallia, il Norico e l’Elvezia, anch’essa cristiana, o la ferma volontà di non rinnegare Cristo con la celebrazione di riti e sacrifici in onore di divinità pagane).

Secondo una tradizione successiva alla Passio attribuita a Eucherio, che aveva a sua volta attinto informazioni dirette dal vescovo di Ginevra e dal vescovo di Sion, coloro che scamparono all’eccidio, perpetrato nell’ultimo quarto del III sec. d.C. principalmente presso la località di Agaunum, l’odierna Saint-Maurice-D’Agaune, nel Vallese svizzero, si dispersero nelle vallate dell’arco alpino, stabilendovi e evangelizzandone gli abitanti. Più tardi, sul luogo della strage, sarebbe sorto un santuario e, sulle fondamenta di questo, un’importante abbazia fondata nella prima metà del VI secolo dal burgundo Sigismondo (futuro re) e dedicata al comandante della legione, San Maurizio,

La letteratura agiografica, unitamente a tradizioni orali e leggende locali, ci rivela che molti di questi ex legionari, sfuggiti allo sterminio, andarono incontro al martirio nei luoghi in cui avevano trovato in un primo momento accoglienza, vuoi per la reazione violenta delle popolazioni del posto, in parte non disposte ad accogliere la nuova fede, vuoi per mano dei soldati romani incaricati di portare a termine il disegno persecutorio avviato ad Agaunum.

Il prestigio acquisito dalla Legione Tebea nell’Occidente cristiano fece sì che nel corso dei secoli si producesse una vera e propria “fioritura” di Martiri Tebei, quantificabili in un totale di circa 400, di cui 325 in Germania e ben 58 venerati in Piemonte. Molti di questi, però, sono definiti dagli studiosi “pseudo-tebei” perché vennero “reclutati” nella Beata Legio (uno degli appellativi con cui è celebrata la Legione Tebea) in epoche successive, anche recenti, allo scopo di conferire maggiore risonanza alle loro azioni o alla loro figura, senza che fosse dimostrabile un legame effettivo con il contingente militare comandato da San Maurizio.

D’altronde, come osserva Massimo Centini in “Martiri Tebei. Storia e antropologia di un mito alpino”, gli unici quattro legionari tebei indicati per nome nella Passio Acaunensium Martyrum di Eucherio di Lione, testo cardine per lo studio dell’argomento, e quindi riconducibili con certezza alla Legione Tebea, sono San Maurizio, Sant’Esuperio, San Candido e San Vittore.

Per il Piemonte fu decisiva l’opera di un medico e sacerdote gesuita legato a Carlo Emanuele I, il duca sabaudo che si fece promotore del culto dei martiri tebei, di nome Guglielmo Baldessano, nativo di Carmagnola e canonico della Cattedrale di Torino. Il sacerdote, come annota il ricercatore Paolo Cozzo, scrisse una “Historia Ecclesiastica” del Piemonte (1589), in cui pose in risalto il contributo dei Martiri Tebei all’evangelizzazione del territorio, equiparandone l’azione alle imprese di Carlo Emanuele I, presentato quale emulo di San Maurizio e difensore della Cattolicità contro le infiltrazioni ereticali.

In tal modo Baldessano rafforzò la fama della Legione Tebea, saldamente inserita nell’orizzonte devozionale sabaudo, come lo era già San Maurizio, protettore delle case regnanti di Lussemburgo e Sassonia, e diede quindi un ulteriore incentivo all’arruolamento nell’unità militare tebea di martiri venerati in vari luoghi del Piemonte, come San Besso in Canavese o San Magno nelle valli cuneesi, pur in assenza di connessioni storiche comprovabili.

Tra questi santi di dubbia identificazione come Tebei o pseudo-tebei (mancando prove incontrovertibili per affermarne l’appartenenza o meno) vi è il nostro Valeriano, raffigurato negli affreschi con il classico abbigliamento tipizzato da militare romano, il quale, secondo alcune fonti, si sarebbe convertito alla fede cristiana seguendo l’esempio della sorella Cecilia. Il culto di San Valeriano, documentato in diversi comuni del Piemonte, è radicato in modo speciale nella zona di Borgone di Susa perché qui si trova la grotta che sarebbe stata utilizzata dal martire, per un certo periodo, come rifugio per sfuggire ai suoi persecutori.

Nell’area in cui si trova l’anfratto roccioso furono edificate, nei secoli successivi, due chiese: una, che appare più recente, ma solo nell’aspetto esteriore, conosciuta come “Cappella nuova” e situata alle pendici del costone che domina la frazione, in corrispondenza dell’antro dove trovò riparo San Valeriano, e l’altra, indicata come “Cappella campestre”, edificata a poca distanza, che risulta invece, già al primo sguardo, d’impianto molto più antico, sia per le tecniche costruttive che per l’essenzialità delle linee.
La Cappella nuova, probabilmente ricostruita nel corso del Seicento e provvista di un pronao porticato, adorno d’un affresco raffigurante Valeriano in abiti militari, incorpora in realtà le strutture murarie di una fondazione più antica, forse databile al principio dell’XI secolo, addossata all’anfratto che fungeva da abitazione a Valeriano e che consentì al santo di scampare, anche se per poco, alla furia vendicatrice dei suoi inseguitori, tratti in inganno, secondo la leggenda diffusa localmente, da un’enorme tela di ragno prodigiosamente intessuta per nascondere alla vista il nascondiglio della vittima. Qui è conservata una reliquia del santo, mentre il corpo si trova nel paese valsusino di Villarfocchiardo.

La Cappella campestre di San Valeriano, quella che conserva l’aspetto romanico, ad aula unica rettangolare con abside illuminata da tre monofore, è fatto risalire dagli studiosi ad un periodo compreso tra l’XI e il XII secolo, e affascina il visitatore per la semplicità delle forme, riflesso di una profonda e genuina fede popolare, e per la quiete agreste che ancora lo circonda e che sembra averlo preservato dall’incalzare chiassoso della “modernità”. La chiesa, restaurata in tempi recenti, mostra all’interno, nel catino absidale, tracce di un affresco raffigurante il Cristo pantocratore in mandorla affiancato da personaggi, ormai non più leggibili.

Come sempre in questi casi, la storia del martire appare proiettata in una dimensione quasi mitica, sospesa tra verità documentata e alone leggendario. Da qui derivano le divergenze nelle testimonianze tramandate, dato che alcune fonti identificano il luogo della morte e del martirio proprio nella grotta di Borgone di Susa, mentre altre situano la dipartita del santo, che fu decapitato, sui monti di Cumiana, nei pressi dell’odierna frazione di Tavernette, dove infatti sorge un santuario di San Valeriano, oggi adibito a sede della Fraternità monastica di Montecroce (e diamo conto anche dell’esistenza di una cappella di San Valeriano sulle alture di Piossasco, qui eretta forse a ricordo del passaggio e della sosta del santo in transito verso Cumiana o verso Borgone).

Nei pressi del santuario di Cumiana, accanto a una cappella votiva, si trova il masso di San Valeriano che reca sulla superficie due incisioni, interpretate dalle popolazioni del luogo, già cristianizzate, come le impronte delle ginocchia del santo che, da qui, avrebbe spiccato prodigiosamente il volo fino a Borgone di Susa, sfuggendo ai suoi aguzzini, o che, secondo una versione alternativa, sarebbe qui atterrato dopo un salto nel vuoto compiuto per sottrarsi ai suoi assalitori (“lasciandovi anche tracce del proprio sangue, suggerite da alcune venature più scure della roccia”, come racconta Diego Priolo).
Esiste poi un’altra tradizione che indica questo sito come il luogo preciso in cui il santo, in ginocchio, venne sorpreso dai soldati e decapitato. D’altronde è elemento ricorrente nell’agiografia sui Martiri la presenza, nei racconti locali, di formazioni rocciose con segni o caratteristiche particolari, spesso riconducibili a più antiche frequentazioni cultuali pagane, che sono state rilette in epoche successive, con l’intento di darvi una spiegazione in linea con la fede cristiana, come prove attestanti la presenza in loco del santo.

La “contesa” circa il luogo del martirio di San Valeriano, Cumiana o Borgone, non può ovviamente essere definita a favore dell’una o dell’altra località, ma tale indeterminatezza ovviamente non compromette né il fascino dei luoghi, con l’eco degli avvenimenti che vi si svolsero, né la memoria di un martire che, nei primi secoli dell’era cristiana, non esitò a sacrificare la propria vita per testimoniare la fede.
Riferimenti bibliografici e fonti internet:
Massimo Centini, Martiri tebei. Storia e antropologia di un mito alpino, Priuli & Verlucca, 2010
Massimo Centini, Il Piemonte delle origini, Newton Compton Editori, 1997
Aldo Ponso, Duemila anni di santità in Piemonte e Valle d’Aosta, Effatà Editrice, 2001
www.archeocarta.org, Borgone di Susa (To): cappella di San Valeriano