Testo e foto di Paolo Barosso

La borgata alpina di Jouvenceaux s’incontra percorrendo la strada che sale dalla piana di Oulx ai 1.500 metri d’altitudine di Sauze d’Oulx, di cui è frazione, nell’alta valle di Susa.

Una camminata nell’abitato consente di ammirare architetture montane recuperate in modo impeccabile, tra solidi muri in pietra e tetti in losa. Come molti villaggi dell’alta valle, anche Jouvenceaux conserva due splendide fontane in pietra, che erano strutture di uso comunitario al servizio degli abitanti della borgata, al pari del forno per la cottura del pane e del mulino per la produzione delle farine.

Le due fontane monumentali, provviste di torretta centrale e grande vasca per la raccolta dell’acqua, utilizzabile anche per l’abbeveraggio degli animali, si richiamano a un modello diffuso in area delfinale, cui l’alta valle della Dora Riparia appartenne politicamente e culturalmente per diversi secoli, fino al 1713, quando il trattato di Utrecht, seguito alla Guerra di Successione Spagnola, ne decretò il passaggio, insieme con la val Pragelato, corrispondente all’alta valle del Chisone, e alla Castellata, nome che indicava il tratto superiore della valle Varaita, al ducato di Savoia, poi regno di Sardegna.

La bellissima vasca ottagonale della fontana realizzata attorno al 1660 per la Prevostura di Oulx e poi trasferita a Jouvenceaux.

Il primo manufatto in cui ci si imbatte addentrandosi nella frazione balza all’occhio per l’elegante sinuosità delle forme: i bordi della grande vasca si presentano mossi, ricurvi, quasi a rivelare suggestioni barocche. La fontana, datata attorno al 1660, non era in origine posizionata a Jouvenceaux, ma nel piazzale antistante la Prevostura di San Lorenzo di Oulx, come ci suggerisce l’arme scolpita sulla superficie esterna d’una delle lastre che compongono la vasca, in cui si riconoscono gli emblemi araldici della nobile famiglia dei de Birague, cui apparteneva il committente dell’opera, il prevosto René de Birague.

L’arme della nobile famiglia dei de Birague campeggia al centro d’una delle otto lastre che formano la vasca della fontana.

Il de Birague resse infatti la Prevostura di Oulx proprio negli anni in cui fu realizzata la fontana, nella seconda metà del Seicento. Egli è indicato come il principale artefice della rinascita dell’importante polo religioso valsusino, affermazione di cui si trova riscontro nell’epigrafe latina incisa sopra il portale del Palazzo del Prevosto, sua residenza: “Sub Renato renata”, cioè rinata sotto Renato di Birague.

A seguito delle soppressioni napoleoniche degli enti ecclesiastici, la Prevostura di Oulx nel primo Ottocento venne spogliata dei propri beni, che andarono in buona parte dispersi, e la grande vasca con la fontana fu smantellata e trasportata a Jouvenceaux, dove oggi, per fortuna, possiamo ancora ammirarla in tutta la sua imponenza.

La seconda grande fontana di Jouvenceaux, costruita nel 1555 e ornata con emblemi araldici del Delfinato e del Regno di Francia.

Il secondo manufatto si trova poco più in alto, nelle vicinanze della cappella di Sant’Antonio Abate, e presenta una vasca ottagonale, indice di maggiore antichità rispetto alle fontane più recenti, di fattura ottocentesca, che hanno vasche più semplici, rettangolari o quadrate. La data incisa su una delle lastre in pietra è infatti il 1555: inoltre i bordi esterni mostrano una decorazione ispirata all’emblematica delfinale e francese, con i delfini e i gigli, elementi che riconducono l’esecuzione del manufatto al periodo di appartenenza di Jouvenceaux e dell’alta valle della Dora al Regno di Francia, che nel 1349 aveva incorporato i territori dei conti di Albon, conosciuti anche come i Delfini del Viennois, da cui la denominazione di Delfinato.

La cappella di Sant’Antonio Abate vista dalla fontana cinquecentesca.

Proseguendo la visita della borgata, oltre la seconda fontana, s’incontra la più significativa testimonianza storico-artistica della frazione, la cappella di Sant’Antonio Abate, di costruzione quattrocentesca, vero e proprio scrigno di arte sacra. La chiesa è dedicata a Sant’Antonio, considerato padre fondatore del monachesimo, vissuto in Egitto tra III e IV secolo, venerato quale protettore degli animali e spesso invocato in veste di taumaturgo, per implorare la guarigione dal cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”.

La cappella quattrocentesca di Sant’Antonio Abate con gli affreschi esterni attribuiti alla scuola pittorica dei fratelli Serra di Pinerolo.

L’espressione, impiegata ancora oggi, era utilizzata per identificare non soltanto l’Herpes zoster, malattia di origine virale, ma anche una serie di altre patologie, come l’erisipela, infezione batterica della pelle, e l’ergotismo, grave malattia tossica di origine alimentare causata dall’ingestione di segale cornuta (contaminata da un fungo parassita), capaci di provocare intensi dolori e bruciori, accompagnati da estesa necrotizzazione dei tessuti e disturbi a livello psichico con forme di allucinazione.

La grande scena del Giudizio universale dipinta sulla facciata della cappella.

I canonici regolari di Sant’Antonio di Vienne, detti “antoniani”, fondatori alla fine del XII secolo della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso in bassa valle di Susa, si specializzarono nella cura dell’Herpes zoster, dell’ergotismo e di patologie affini, ricavando dai maialini selvatici, marchiati come segno di riconoscimento con il Tau, emblema dell’ordine, il grasso necessario alla preparazione del medicamento che veniva applicato sulla cute ammalata, con effetto lenitivo dei bruciori.

La cappella mostra un ricco apparato pittorico, che riveste le pareti esterne e si sviluppa anche all’interno, ricondotto dalla critica alla scuola pittorica dei fratelli Serra di Pinerolo e datato tra fine Quattrocento e primo Cinquecento.

Cappella di Sant’Antonio Abate: dettaglio della scena del Giudizio universale.

All’esterno vi è un ciclo di affreschi che appare largamente ispirato a temi escatologici e di ammonimento morale, con la grande scena del Giudizio universale dipinta in facciata e, sulla parete di sinistra, sei riquadri di dimensioni differenti con la scena dell’Annunciazione, la Comunione, la Confessione, le figure di San Michele e Sant’Antonio Abate, e un grande San Cristoforo, santo legato alle vie del pellegrinaggio, in probabile correlazione con la diramazione valsusina della Via Francigena e con il tragitto della Via Micaelica che attraversa la valle di Susa passando per la Sacra di San Michele.

L’interno della cappella, interessato nell’anno 2000 da un importante cantiere di restauro, custodisce un altro ciclo pittorico che ripropone scene della vita di Sant’Antonio Abate mostrando analogie con gli affreschi di Ranverso, Salbertrand e Savoulx.