Testo e foto di Paolo Barosso
Il comune di Macugnaga (Makanà in Titsch, la lingua parlata dai Walser), menzionato per la prima volta in un documento del 999 conservato all’Archivio di Stato di Torino, si trova alle pendici del monte Rosa, alla testata di una delle valli che si dipartono a ventaglio dalla conca ossolana
La valle di Macugnaga appare morfologicamente suddivisa in due tronconi, separati da una barriera naturale chiamata “Morghen”: il primo tratto è la valle Anzasca propriamente detta, mentre il secondo era indicato nelle fonti antiche come la vallis Macugnagae (valle di Macugnaga), estesa oltre lo sbarramento del Morghen, una profonda forra scavata dal torrente Anza che segnava non solo un confine fisico, ma anche un limen etnico-culturale perché delimitava la porzione di territorio di alta quota abitata da popolazioni Walser di ceppo alemanno (contrazione da Walliser, vallesani, abitanti del Vallese).
Il paese ossolano, abitato da coloni di etnia Walser e lingua tedesca fin dal XIII secolo, è sovrastato dalla imponente parete est del Monte Rosa, considerata per geomorfologia l’unica “parete himalayana” delle Alpi, impressionante per altezza e vastità di dimensioni, da cui scendono enormi flussi di ghiaccio che confluiscono in un’unica lingua glaciale, il Belvedere.
Al centro del cimitero, accanto alle baite del Dorf, la frazione più estesa, si trova una delle testimonianze architettoniche più caratteristiche di Macugnaga, la Chiesa Vecchia, intitolata a Santa Maria. Eretta a partire dal 1260, poi ingrandita e più volte rimaneggiata (il campanile risale al 1580), la chiesa mostra nell’aspetto esterno una tipica impronta vallesana, portata dai Walser, che s’erano stabiliti alla testata della valle nel periodo compreso tra il 1260 e il 1290, provenienti dal paese di Saas nel Vallese svizzero.
Secondo la tesi più accreditata, all’origine della colonia Walser di Macugnaga vi fu l’iniziativa di Gotofredo conte di Biandrate, signore della Valsesia, che, unitosi in matrimonio con la bella vallesana Aldisia, figlia del signore di Visp/Viège, aveva ricevuto in dote la valle Anzasca e la valle di Viège o Visp nel Vallese. Al fine di consolidare la signoria sulle valli a oriente del Monte Rosa, Gotofredo promosse degli accordi che contemplavano lo scambio di popolazioni e l’insediamento di coloni vallesani (Walser) nell’altopiano di Macugnaga.
A poca distanza dall’edificio ecclesiastico prospera il maestoso Vecchio Tiglio (Alte Lindebaum), inserito nel registro degli alberi monumentali del Piemonte, che, secondo le valutazioni dendrocronologiche di una Commissione di botanici e forestali dell’Università di Torino, avrebbe ormai raggiunto i 500 anni d’età, venendo annoverato tra gli esemplari più longevi d’Europa.
Il tiglio di Macugnaga è stato per secoli un punto di riferimento per la comunità locale, che usava radunarsi all’ombra della sua imponente chioma per tenervi il Consiglio Maggiore, detto di “Vicinanza”, incaricato di amministrare la giustizia e affrontare questioni amministrative importanti.
Secondo la tradizione, riportata dallo scrittore Albert Schott nel 1842, il tiglio di Macugnaga venne messo a dimora dai primi coloni Walser, che si erano portati la piantina da Saas come richiamo simbolico alla terra d’origine, ma i documenti più antichi, riferiti ad atti notarili vergati sotto la chioma dell’albero come da consuetudine, alludono alternativamente a un tiglio o a un olmo, a seconda dei casi. Quindi è anche possibile che originariamente vi fosse un olmo, poi sostituito da un tiglio.
Il villaggio del Dorf, una delle borgate di Macugnaga, subì un incendio nel 1639 e un’inondazione l’anno successivo, ma venne fedelmente ricostruito nel Settecento rispettando i canoni dell’architettura Walser. A differenza di altre popolazioni alpine, i Walser di Macugnaga, attenendosi a modelli edilizi alto-vallesani, scelsero di separare le costruzioni in funzione al loro uso.
Qui si nota, accanto all’abitazione, l’edificio adibito a stalla-fienile, costituito da un basso basamento in pietra a secco o unita con malta, parzialmente interrato e destinato al ricovero degli animali, cui si sovrappone un ambiente in legno a “blockbau” (tecnica ad incastro) per la conservazione del foraggio. Il fienile poggia direttamente sul basamento in pietra oppure, in alcuni casi, appare sospeso su pilastrini a fungo, pensati sia per tenere lontani i piccoli roditori, sia per impedire la risalita dell’umidità.