di Milo Julini

Nel 1854 Torino fu colpita da una nuova epidemia di colera che, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, si estese da Genova a Torino, dove fece le sue prime vittime il 30 luglio per durare fino a dicembre. Furono colpite 2.533 persone con 1.438 casi di morte. 

Don Merla

Nel borgo San Donato, ancora parrocchia di Borgo Dora, secondo Emilio Garro (1966) vennero installati dal Municipio due lazzaretti provvisori per la cura dei malati privi di assistenza.

Uno di questi era situato nell’area fra corso Principe Oddone, via Santa Chiara (oggi via Miglietti) e via Balbis, circondato da campi e terreni fabbricabili. In questo lazzaretto furono assai attivi San Giovanni Bosco e molti giovani del suo oratorio di San Francesco di Sales, tra cui il beato Michele Rua e il futuro cardinale Giovanni Cagliero.

Sui giornali, oltre alle notizie ed ai bollettini del colera, si riportavano episodi di ignoranza e pregiudizi della popolazione: il popolino diffidava delle cure e i parenti dei malati, per precauzione, obbligavano talora i medici a trangugiare parte delle medicine prescritte. 

A Genova era ancora peggio, visto che bisognava usare i bersaglieri per proteggere i dottori in visita.

Don Merla

Anche fra la popolazione del borgo San Donato vi era chi manifestava la sua ostilità verso i soccorritori che, per ignoranza e pregiudizi, erano accusati di spargere una “acquetta” che affrettava la morte dei colerosi. Oltre che di fischi e insulti, medici e volontari talvolta erano fatti oggetto di sassaiole, episodi deplorevoli che si erano verificati anche nel corso del colera del 1835.

A settembre il colera era in fase decisamente calante e, a questo punto si innesta la vicenda di don Pietro Merla.

Don Merla, nato a Rivara nel 1815, figlio di un notaio, coetaneo e compagno nel seminario di Chieri di San Giovanni Bosco col quale aveva continuato a mantenere relazioni di amicizia e collaborazione, tanto che fu don Merla a insegnare al giovane Michele Rua i principi della lingua latina.

Inizialmente don Merla era stato professore di latino ed aveva successivamente accettato la nomina a cappellano nel carcere femminile delle Torri Palatine a Torino.

Il voto della Città di Torino per la liberazione dall'epidemia di colera del 1835 - vetrata istoriata nella chiesa di San Massimo a Torino
Il voto della Città di Torino per la liberazione dall’epidemia di colera del 1835 – vetrata istoriata nella chiesa di San Massimo a Torino

Questa scelta portò ad una svolta nella sua vita: pensò di favorire il reinserimento delle detenute nella società con la fondazione di un istituto per accogliere le donne ravvedute che, uscite dal carcere, volevano vivere onestamente col loro lavoro, al riparo da malvagi influssi ambientali. Molte persone pie, fra cui la marchesa Giulia di Barolo, fornirono il loro valido appoggio a don Merla, che poté così fondare, il 26 aprile 1854, il suo istituto, Ritiro di San Pietro in Vincoli, collocato in una soffitta della casa Primey in via Bogino.

Secondo una versione tradizionale dei Salesiani, a settembre del 1854, don Bosco consigliò a don Merla di trasferire le sue ricoverate dalla scomoda sede di via Bogino nel lazzaretto ormai smobilitato che poteva essere affittato a buon prezzo e debitamente riadattato. Si trattava di un terreno a forma di cuneo dove sorgeva un fabbricato ad un piano, con al centro un cortile rustico fornito di pozzo. La parte principale si affacciava su corso Principe Oddone con una cancellata, un piccolo atrio e finestre munite di inferriate. In via Balbis, da una seconda entrata chiusa da un cancello, si accedeva alla stalla e alla cucina. Don Merla ne prese in affitto una parte dove, dopo disinfezione e riadattamento, la comunità si trasferì alla chetichella. Il nome dell’istituto fu mutato in Ritiro di San Pietro Apostolo, che non ricordava carcere e catene come “in Vincoli”.

Torino - Istituto di San Pietro fondato da don Merla

Si adattò un locale a cappella per la Messa domenicale e le altre funzioni religiose che, in assenza di don Merla, venivano celebrate da sacerdoti salesiani. L’assistenza delle ricoverate proseguì con le iniziali suore Giuseppine, poi sostituite da due suore Vincenzine del Cottolengo.

L’istituzione di don Merla non piaceva ai malavitosi, sfruttatori delle giovani prostitute che lui redimeva, che si vedevano privati della loro fonte di reddito. Così un gruppo di giovinastri gli tese un vile attentato, lo percossero e lo presero a sassate. In conseguenza di questa aggressione, Don Merla morì il 9 novembre 1855.

I giornali cattolici intransigenti torinesi, “L’Armonia” e “Il Campanone”  pubblicarono i necrologi di don Merla, senza approfondire le gli aspetti drammatici della sua morte.

Don Merla è ricordato dai Salesiani, come collaboratore di Don Bosco. Gli succedette il teologo Giovanni Battista Vola che decise di ospitare anche altre giovani, orfane o abbandonate, e pensò di acquisire l’intero fabbricato dove erano stati affittati i primi locali da don Merla. Il proprietario era il signor cavaliere chirurgo ortopedico Giovanni Pistono e la vendita al teologo Vola avvenne il 15 febbraio 1859. Il teologo Vola morì nel 1872 e gli succedette il teologo Roberto Murialdo, cugino di San Leonardo Murialdo, che cambiò il titolo dell’istituzione in Istituto di San Pietro, dove decise di accettare non più ex carcerate, ma fanciulle orfane o raccomandate da Enti morali per particolari situazioni di famiglia, non soltanto di Torino ma anche di altre città.

Istituto di San Pietro fondato da don Merla

Nel 1875 don Roberto Murialdo fondò la Congregazione delle Suore di Maria SS Addolorata (di semi-clausura), istituita esclusivamente per le figlie dell’Istituto di San Pietro che desideravano monacarsi.

Negli anni Trenta del Novecento diventò una famiglia del Cottolengo.

L’Istituto di San Pietro, ancora attivo, attualmente si occupa di ragazzi difficili, sempre avvalendosi dell’opera di alcune suore del Cottolengo. L’iniziale indirizzo di via Santa Chiara n. 66, all’angolo con via Balbis n. 18, corrisponde ora a via Miglietti 2.

Gli scrittori canavesani Antonino Bertolotti e don Angelo M. Rocca definiscono nei loro libri don Pietro Merla come un benemerito dell’umanità: la definizione non appare dettata da meschino campanilismo canavesano perché le sue scelte coraggiose e il suo impegno sociale sono fuori discussione.

L’aspetto più curioso della vicenda di don Pietro Merla viene dalla enciclopedia per ragazzi “Il Tesoro” (UTET, 1960).

Nel capitolo “Benefattori dell’umanità” l’aggressione dei malavitosi e la conseguente morte di don Merla viene attribuita a San Giuseppe Cottolengo, in realtà morto a Chieri, il 30 aprile 1842, di colera. Si narra che il Cottolengo, una notte, mentre rientrava  a piedi da una visita fatta agli Eremi di Gassino, alla svolta di una via di campagna, venne assalito da certi malviventi, protettori di alcune povere infelici da lui convertite e ricoverate, che lo lasciarono come morto a terra; rientrato alla Piccola Casa, vi morì dopo qualche giorno.

Questo singolare “gemellaggio” con uno dei più insigni “Santi sociali” torinesi conferma la validità dell’opera di don Pietro Merla che necessita di una migliore valorizzazione, non soltanto in ambito locale torinese.