di Paolo Barosso

Il paese di Craveggia, situato a oltre 800 metri d’altitudine nel cuore della valle Vigezzo, è tra i più caratteristici dell’Ossola, con le eleganti abitazioni adorne di affreschi a tema sacro e araldico e i tetti in pietra sormontati da alti camini e realizzati con le beole (la beola è una varietà di gneiss facilmente lavorabile e divisibile in lastre), o “piode da tetto”, tipo di copertura diffusa in area ossolana, nell’alto Verbano e nei territori limitrofi del basso Vallese e del Ticino svizzero.

Veduta di Craveggia.

A dispetto del toponimo, derivato da Cravetia o Capretia, con evidente allusione alla capra, animale presente anche nello stemma comunale, che evoca scene agresti e di vita pastorale, la località vanta una storia illustre, che s’intrecciò addirittura con le vicende dei reali di Francia, e custodisce un sorprendente patrimonio culturale, architettonico e artistico, di cui è elemento di punta il complesso ecclesiastico della piazza principale, formato dall’oratorio di Santa Marta, edificato nel Seicento per iniziativa dell’omonima Confraternita, ma rifatto nel secolo successivo su progetto dell’architetto craveggese Antonio Ferino, che si dice abbia preso a modello la cappella reale di Versailles, il battistero del primo Ottocento, con pianta ottagonale e affreschi del pittore vigezzino Lorenzo Peretti (1774-1851), e dalla chiesa parrocchiale dei santi Giacomo e Cristoforo, che custodisce il cosiddetto “Tesoro di Craveggia”.

Scorcio del paese.

Le prime attestazioni riguardanti Craveggia risalgono alla prima metà dell’XI secolo, quando, nell’anno 1014, l’imperatore Enrico I di Sassonia donò il comitato ossolano, che comprendeva anche la valle Vigezzo, alla Chiesa novarese, riconoscendo i meriti del vescovo Pietro III e investendo così la curia di Novara di ampie responsabilità di governo, esercitate dalla sede fisica del castello di Mattarella, situato sul colle dominante la città di Domodossola, dove il vescovo ebbe il suo palazzo. 

A partire dal tardo Medioevo la valle Vigezzo cominciò ad essere agitata dall’accesa litigiosità tra le fazioni rivali dei Rossi e dei Verdi, destinata a perdurare, secondo quanto riportato da cronachisti e studiosi locali, fino all’epoca moderna, dando origine a continue scaramucce, discordie, vendette, talvolta tanto violente da sconfinare in episodi cruenti e delittuosi, che turbavano la vita quotidiana dei valligiani.

Di questa antica animosità, che riguardava un po’ tutti i paesi della valle Vigezzo, si può vedere concreta testimonianza, dentro l’abitato di Craveggia, nella cosiddetta “Contrada della Rossa”, o “Caral at la rusa” (Carale della Rossa) nella parlata ossolana, strada interna al paese su cui si affacciavano le abitazioni della consorteria dei Rossi. Sullo sfondo di questa agguerrita competizione tra fazioni familiari per l’esercizio del potere a livello locale, si svolgeva, a una sfera più alta, la contesa per il controllo del territorio ossolano e vigezzino che, tra XIII e XIV secolo, contrappose il comune di Novara, la diocesi novarese e i potenti conti di Biandrate.

Via di Craveggia.

Dalla fine del Trecento, la località di Craveggia, come tutta la valle Vigezzo, prese a ricadere nell’orbita politica dei Visconti che prevalsero sulle altre forze in campo e, verso la metà del XV secolo, diedero in feudo il paese, al pari di molti altri centri della vallata come Santa Maria Maggiore, alla potente famiglia dei Borromeo, destinata a rimanere legata per secoli alla storia ossolana e vigezzina.

I Borromeo, pur nell’avvicendarsi delle dominazioni, seppero conservare nei secoli successivi la propria posizione, vedendosi confermare i diritti anche dai sovrani sabaudi i quali, regnante Carlo Emanuele III di Savoia, a conclusione della Guerra di successione austriaca (1740-1748) e in applicazione del trattato di Aquisgrana del 1748, acquisirono i territori dell’alto Novarese, oltre a Vigevano, l’Oltrepò pavese e il contado di Angera.

Fu così che la dinastia sabauda integrò anche l’Ossola negli Stati di Savoia, coronando un’ambizione a lungo coltivata, già dai tempi del duca di Savoia Amedeo VIII al principio del XV secolo, e portando quasi a termine il processo, avviato molto tempo prima, di unificazione del Piemonte odierno sotto un unico scettro.

Visitando il paese di Craveggia, si può notare la ricchezza dell’apparato ornamentale delle abitazioni, che presentano numerosi affreschi a tema votivo, tra cui ricorre la rappresentazione della Madonna (in valle Vigezzo è radicato da secoli il culto mariano della cosiddetta Madonna del Sangue, venerata nel santuario di Re) e delle figure dei santi patroni Cristoforo e Giacomo, strettamente legati ai percorsi del pellegrinaggio e alla protezione dei viandanti. Sviluppato è anche il filone araldico, con raffigurazioni pittoriche di arme dinastiche, che evidenziano, con il loro linguaggio non sempre di facile interpretazione, la presenza di famiglie nobiliari di antica tradizione.

Craveggia – affresco parietale con Madonna in trono

Un fenomeno che interessò il paese di Craveggia, come annota Giacomo Maria Gubetta, medico e studioso, in un suo testo di memorie storiche locali pubblicato nel 1878, fu quello dell’emigrazione, che in valle Vigezzo si manifestò in modo particolarmente accentuato rispetto ad altre località di montagna, assumendo proporzioni ragguardevoli soprattutto nel corso del Seicento, quando nei territori ossolani s’era instaurata la dominazione spagnola. “Come già rimarcammo”, scrive Gubetta, “il nostro Comune dal censimento eseguito per ordine superiore nell’anno 1698 conteneva 1489 persone, mentre attualmente nell’ultimo che si effettuò nel 1871 la sua popolazione di fatto discese a 741”.

Fu in questa fase storica che, per diversi fattori, dall’insufficiente produttività dell’agricoltura montana all’imperversare di guerre e carestie, molti abitanti di Craveggia scelsero la via dell’emigrazione, trasferendosi in cerca di miglior fortuna all’estero e scegliendo come meta, in particolare, il Regno di Francia, dove si misero a esercitare, nella stagione fredda, il mestiere dello spazzacamino, dedicandosi invece, nel periodo primaverile e estivo, ai commerci.

Craveggia – affresco con scena dell’Annunciazione e arme sottostante.

Secondo la tradizione, riportata anche dal Gubetta, sarebbe proprio da attribuire a un giovane spazzacamino della valle Vigezzo il merito di aver convinto, grazie ai preziosi servigi resi alla corona (di cui si dirà tra poco), il re di Francia Luigi XIII a concedere ai craveggesi e vigezzini il privilegio reale, reso pubblico con proclama il 10 ottobre 1613 e più volte confermato dai successori di Luigi XIII con lettere patenti (in cui si legge “in considerazione dei servigi renduti”), di “portare e vendere chincaglierie” e “autre minute marchandise” nella capitale, Parigi, e nelle altre regioni del Regno, senza essere molestati sotto pena delle “spese, danni e interessi”.

Chiesa dei santi Giacomo e Cristoforo – l’affresco della volta del presbiterio, opera di Giuseppe Mattia Borgnis, con la Gloria dei santi Giacomo e Cristoforo portati in Cielo dagli angeli.

La protezione concessa da re Luigi XIII agli emigrati vigezzini, che fu alla base delle loro fortune in Francia, non fu soltanto una risposta del sovrano alle accorate suppliche rivolte dagli abitanti originari di Craveggia, Malesco e Villette, che chiedevano di non essere più ostacolati nell’esercizio dei loro piccoli commerci, ma, secondo la narrazione popolare, ripresa in alcuni testi, sarebbe da interpretarsi anche come volontà del re di ricompensare la lealtà del giovane spazzacamino di Craveggia che, calatosi da un camino per svolgere il proprio lavoro, ascoltò, per caso, i piani di un gruppo di cortigiani cospiratori e, prontamente, da suddito fedele, li riferì al sovrano, consentendogli di sventare il complotto e smascherare i congiurati.

Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo – la cappella della Madonna del Rosario.

Il grande esodo verso la Francia, favorito dai provvedimenti reali a tutela dei commerci, permise ad alcune famiglie di Craveggia di affermarsi nel settore dell’oreficeria, per cui mostrarono una particolare predisposizione: la base giuridica di questo successo è, ancora una volta, da individuare in una concessione reale, in particolare le lettere patenti del giugno 1716, poi confermate e ampliate nel loro campo di applicazione nel 1760, con cui re Luigi XV di Francia consentiva ai “nostri spazzacamini” della valle Vigezzo di “portare, vendere e comprare” in qualsiasi luogo del Regno, oggetti di oreficeria e gioielleria.

Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo – la facciata con il portico antistante l’ingresso.

I craveggesi e vigezzini seppero, con il tempo, perfezionarsi in questo ambito, finendo per primeggiare tra i gioiellieri della capitale di Francia e della corte reale. Tra i craveggesi che si distinsero, vi è Francesco Borgnis, documentato nel 1790 a Parigi come gioielliere del duca di Orléans, e gli esponenti della famiglia Mellerio, come Gian Battista, che fu gioielliere di fiducia della regina Maria Antonietta, aprendo una bottega al numero 22 di rue Vivienne a Parigi, che portava l’insegna “Mellerio – Meller-à la Couronne de fer”.

Chiesa dei santi Giacomo e Cristoforo – il catino centrale del presbiterio con la rappresentazione pittorica del Paradiso contornato dai pennacchi con i quattro Evangelisti, opera del pittore Giuseppe Mattia Borgnis.

Questo è l’antefatto storico che spiega la presenza a Craveggia, tra le montagne della valle Vigezzo, di oggetti tanto preziosi e ricercati da formare il cosiddetto “Tesoro di Craveggia”, custodito in gran parte nella sacrestia della chiesa parrocchiale dei santi Giacomo e Cristoforo, riplasmata in forme barocche nella prima metà del Settecento (1731-1734) e abbellita da pregevoli affreschi e tele del pittore Giuseppe Mattia Borgnis, insigne artista locale cui si deve, secondo la tradizione, anche il disegno dell’edificio, ispirato alla chiesa di San Salvatore in Venezia e fornito dallo stesso Borgnis al progettista, Marco Bianchi da Roma (Borgnis nacque a Craveggia nel 1701 e morì in circostanze mai chiarite in Inghilterra, a West Wycombe, dove si conservano alcune sue opere).

Chiesa dei santi Giacomo e Cristoforo – affresco del vigezzino Lorenzo Peretti (1774-1851) sulla volta del portico esterno.

Nella parrocchiale sono custodite le ossa del martire San Faustino, estratte da un cimitero romano (San Ponziano secondo il Gubetta, San Ciriaco secondo altre fonti) e donate alla parrocchiale di Craveggia nel 1712 dal canonico Gerolamo Greco per l’amicizia che lo legava alla famiglia Chino, originaria di Craveggia, ma trasferitasi a Roma, dove gestiva negozi grazie alle fortune accumulate esercitando il commercio, pare anche con la lontana Cina (da cui – si ipotizza – l’origine del nome “Chino”).

L’ingresso del battistero di Craveggia, costruito nell’area dell’antico cimitero.

La collezione che costituisce il “Tesoro di Craveggia”, formatasi nel corso dei secoli, comprende oggetti liturgici, paramenti sacri in sete antiche intessute d’oro e d’argento, pissidi, croci, calici tempestati di pietre preziose o lavorati a cesello e filigrana, ostensori, provenienti soprattutto da donazioni effettuate da famiglie di emigrati craveggesi (i Mellerio, i Cottini, i Borgnis, gli Acerro) che s’erano arricchite lavorando in Francia, nelle Fiandre, in Germania, non dimenticando però il legame con il paese d’origine, verso cui mostrarono sempre, e continuano a mostrare, affetto e grande munificenza.

Affresco parietale a tema mariano lungo le vie dei Craveggia.

L’importante collezione si fa anche vanto di possedere importanti reperti legati alla storia della dinastia reale francese dei Borbone, scampati alla furia iconoclasta dei giacobini rivoluzionari e giunti nel paese vigezzino attraverso le donazioni delle famiglie craveggesi insediatesi in Francia. Tra questi, oltre ad alcuni episodi della Vita di Gesù dipinti su tavole di rame attribuiti al fiammingo Pauwels Franck (vissuto nel Cinquecento e soprannominato a Venezia, dove lavorò, “Paulo Fiamengo”), provenienti dalla cappella reale di Versailles, e un crocefisso trecentesco con i quattro evangelisti scolpiti a sbalzo, ricordiamo il manto funebre di re Luigi XIV, ornato con sei medaglioni ricamati in gobelin, che raffigurano scene della Passione e della Resurrezione di Cristo, e il manto nuziale della regina Maria Antonietta, da cui si è ricavato il piviale adorno di fiori ricamati tradizionalmente indossato dal parroco di Craveggia nelle celebrazioni solenni.

La facciata della chiesa parrocchiale di Santa Caterina d’Alessandria a Vocogno, frazione di Craveggia.

Per completare la visita del territorio di Craveggia, è consigliabile salire alla Piana di Vigezzo, sito di interesse ambientale e paesaggistico, oltre che sede di sport invernali, raggiungibile tramite cabinovia, ma anche di sostare alla frazione di Vocogno, attraversata da stretti e scoscesi vicoli e impreziosita dalla bella chiesa parrocchiale dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, costruita in forme barocche nella seconda metà del Seicento sul luogo di un più antico oratorio, già documentato a fine Quattrocento.  

Note bibliografiche:

Giacomo Maria Gubetta, Craveggia. Memorie antiche e moderne, Tipografia A. Porta, Domodossola, 1878.

Craveggia in www.vallevigezzo.eu

Si ringrazia per la concessione delle immagini Fabrizio Giampaolo Nucera, presidente del movimento culturale “Croce Reale – Rinnovamento nella Tradizione“.